30.3.12
















Credo anche che i nostri corpi siano in verità nudi. Siamo solo leggermente ricoperti da una stoffa abbottonata, sotto il selciato ci sono gusci di conchiglie, ossa e silenzio.

The Waves - Virginia Woolf

26.3.12





io tra le frasi e i frammenti cercavo qualcosa di integro - proprio io che non trovo bellezza che basti nella luna, in un albero; per cui il contatto con l’altro è tutto, eppure neanche quello mi riesce e sono così imperfetto, così debole, così indicibilmente solo. [...]

E se finisse qui la storia? Con una specie di sospiro? l’ultima crespa di un’onda?  
Voglio toccare il tavolo, ecco; e ritrovare così il senso del tempo.

V.W.

21.3.12
















( yo te pido la cruel ceremonia del tajo,
lo que nadie te pide: las espinas hasta el hueso )



















17.3.12





E so molto bene che non ci sarai.
Non ci sarai nella strada,
non nel mormorio che sgorga di notte
dai pali che la illuminano,
neppure nel gesto di scegliere il menù,
o nel sorriso che alleggerisce il "tutto completo" delle sotterranee,
nei libri prestati e nell'arrivederci a domani.


Nei miei sogni non ci sarai,
nel destino originale delle parole,
nè ci sarai in un numero di telefono
o nel colore di un paio di guanti, di una blusa.
Mi infurierò, amor mio, e non sarà per te,
e non per te comprerò dolci,
all'angolo della strada mi fermerò,
a quell'angolo a cui non svolterai,
e dirò le parole che si dicono
e mangerò le cose che si mangiano
e sognerò i sogni che si sognano
e so molto bene che non ci sarai,
né qui dentro, il carcere dove ancora ti detengo,
né la fuori, in quel fiume di strade e di ponti.
Non ci sarai per niente, non sarai neppure ricordo,
e quando ti penserò, penserò un pensiero
che oscuramente cerca di ricordarsi di te.


Julio Cortázar







13.3.12


Ciò che più di ogni altra cosa mi riconcilia con la mia stessa morte è l'immagine di un luogo: un luogo dove le tue ossa e le mie siano sepolte, gettate, messe a nudo, insieme. Vi sono disseminate alla rinfusa. Una delle tue costole poggia contro il mio cranio. Un metacarpo della mia mano sinistra si trova all'interno del tuo bacino. (Contro le mie costole spezzate il tuo seno simile a un fiore.) Le cento ossa dei nostri piedi sono sparpagliate come ghiaia. E' strano che questa immagine della nostra prossimità, pur parlando di semplice fosfato di calcio, debba procurarmi un senso di pace. Eppure è così. Con te riesco a immaginare un luogo dove essere fosfato di calcio mi basta. 


John Berger -  E i nostri volti, amore mio, leggeri come foto





12.3.12

 Se mai si dovesse catalogare il mondo tra i generi, il suo principale ingrediente stilistico sarebbe senza dubbio l’acqua. Se le cose stanno diversamente, sarà perché nemmeno l’Onnipotente deve avere molte alternative, o perché il pensiero stesso ha la trama dell’acqua. Come del resto la scrittura; come le emozioni, come il sangue. I liquidi hanno la proprietà di riflettere, e anche in un giorno di pioggia possiamo sempre dimostrare, andando a metterci dietro un vetro, che la nostra fedeltà è superiore a quella del vetro. Questa città ci lascia senza fiato in ogni momento, anche col variare delle condizioni metereologiche, che poi possono variare solo entro un campo piuttosto limitato. E se noi siamo parzialmente sinonimi dell’acqua, che è totalmente sinonimo del tempo, il sentimento che proviamo verso questo posto migliora il futuro, contribuisce a quell’Adriatico o a quell’Atlantico del tempo che immagazzina i nostri riflessi per quando noi saremo scomparsi da un pezzo.

Iosif  Brodskij - Fondamenta degli incurabili















11.3.12



Da ogni parte non una traccia di vita, voi dite, bah, e con questo, immaginazione mai morta, ma sì, appunto, immaginazione morta immaginate. Isole, acque, azzurro, verzura, attenzione, pfff, via tutto, un'eternità, zitti ora. Finché tutta bianca dentro il bianco la rotonda. Non c'è entrata, entrate, misurate. Diametro 80 centimetri, stessa distanza dal suolo alla sommità della volta. Due diametri ad angolo retto AB CD dividono in semicerchi ACB BDA il suolo bianco. A terra due corpi bianchi, ciascuno nel suo semicerchio. Bianchi anche la volta e il muro circolare su cui poggia alto 40 centimetri. Uscite, una rotonda disadorna, tutta bianca dentro il bianco, rientrate, picchiate, pieno in ogni punto, suona come nell'immaginazione l'osso suona. Alla luce che fa tanto bianco nessuna sorgente visibile, tutto splende di un bagliore bianco eguale, suolo, muro, volta, corpi, non un'ombra. Calore intenso, superfici calde al tatto, non scottanti però, corpi sudati. Tornate a uscire, indietreggiate, scompare, sorvolate, scompare, tutta bianca dentro il bianco, scendete, tornate a entrare. Vuoto, silenzio, calore, bianco, aspettate, la luce si abbassa, tutto si oscura di conserva, suolo, muro, volta, corpi, 20 secondi circa, tutti i grigi, la luce si spegne, scompare ogni cosa. Si abbassa al tempo stesso la temperatura, per raggiungere il minimo, zero circa, nell'istante in cui viene il buio, questo può sembrare strano. Aspettate, più o meno a lungo, luce e calore ritornano, suolo, muro, volta e corpi imbiancano e si riscaldano di conserva, 20 secondi circa, tutti i grigi, raggiungono il livello di prima, dal quale aveva preso inizio la caduta. Più o meno a lungo, perché possono intercorrere, l'esperienza insegna, tra la fine della caduta e l'inizio della ripresa durate molto diverse, da una frazione di secondo a qualcosa che sarebbe potuto sembrare, in altri tempi e luoghi, un'eternità. Identica osservazione per l'altra pausa, tra la fine del crescendo e l'inizio della caduta. Gli estremi, quel tanto che durano, sono di una stabilità perfetta, questo dal lato calore può sembrare strano, nei primi tempi. Succede anche, l'esperienza l'insegna, che caduta e crescendo si interrompano a un livello qualsiasi e segnino una pausa più o meno lunga, prima di riprendere, o di invertirsi, l'una in crescendo, l'altro in caduta, con la possibilità a loro volta sia di arrivare in fondo, sia di interrompersi prima, per poi riprendere, o di nuovo rovesciarsi, trascorso un tempo più o meno lungo, e così via, prima di arrivare all'uno o all'altro estremo. Attraverso questi alti e bassi, riprese e ricadute, che si susseguono secondo ritmi innumerevoli, non è raro che il passaggio si compia, dal bianco al nero e dal caldo al freddo, e viceversa. Solo gli estremi sono stabili, come è confermato dalla pulsazione che si manifesta in corrispondenza delle pause a uno stadio intermedio, quali che siano la loro durata e il livello. Fremono allora suolo, muro, volta e corpi, di un grigio bianco o fumo o una via di mezzo a seconda. Ma è piuttosto raro, l'esperienza insegna, che il passaggio si compia così. E il più delle volte, quando la luce comincia a abbassarsi, e con essa il calore, il movimento continua senza scosse fino al buio completo e al grado zero all'incirca, raggiunti simultaneamente l'uno e l'altro in capo a una ventina di secondi. Lo stesso per il movimento contrario, verso il calore e il bianco. Segue in ordine di frequenza la caduta o il crescendo con pausa piú o meno lunga in quei grigi febbricitanti, senza che il movimento venga invertito in alcun istante. Resta che una volta spezzato l'equilibrio, quello in alto come quello in basso, il passaggio al successivo è variabile all'infinito. Ma quali siano le eventualità, il ritorno prima o poi alla quiete temporanea pare immancabile, per il momento, nelle tenebre o nel bianco assoluto, con corrispondente temperatura, mondo ancora alla prova della convulsione incessante. Ritrovato per miracolo dopo quale assenza in deserti perfetti non è già più lo stesso, da questo punto di vista, eppure non ce n'è un altro. All'esterno tutto resta immutato e il piccolo edificio sempre di difficile reperimento, di un bianco che si confonde in quello circostante. Ma entrate ed è la quiete più breve e mai due volte lo stesso tumulto. Luce e calore rimangono collegati come se forniti da una sola e stessa sorgente di cui sempre nessuna traccia. Sempre a terra, piegato in tre, con la testa contro il muro in B, il culo contro il muro in A, i ginocchi contro il muro tra B e C, i piedi contro il muro tra C e A, vale a dire inscritto nel semicerchio ACB, non distinguibile dal suolo se non fosse per la lunga chioma di un bianco incerto, un corpo bianco di donna insomma. Compreso similarmente nell'altro semicerchio, contro il muro la testa in A, il culo in B, i ginocchi tra A e D, i piedi tra D e B, bianco anche lui come il suolo, il compagno. Sul fianco destro tutti e due e in senso contrario schiena a schiena. Accostate uno specchio alle labbra, si appanna. Con la mano sinistra ciascuno si tiene la gamba sinistra un po' al di sotto del ginocchio, con la destra il braccio sinistro un po' più su del gomito. In quella luce movimentata, con la grande quiete bianca ormai così rara e breve, l'osservazione è difficoltosa. Nonostante lo specchio potrebbero sembrare inanimati senza gli occhi sinistri che a intervalli incalcolabili a un tratto si sgranano e restano spalancati molto oltre le possibilità umane. Azzurro pallido acuto un effetto impressionante nei primi tempi. Mai i due sguardi insieme salvo una sola volta una decina di secondi, l'inizio dell'uno sovrapponendosi alla fine dell'altro. Né grassi né magri né grandi né piccoli, i corpi appaiono integri e abbastanza in buono stato, a giudicare dalle parti esposte allo sguardo. Anche ai volti, per poco che i due versanti si corrispondano, non sembra mancare niente di essenziale. Tra la loro immobilità assoluta e la luce scatenata il contrasto è sorprendente, nei primi tempi, per chi si ricorda ancora di essere stato sensibile al contrario. E' chiaro tuttavia da mille piccoli segni che sarebbe troppo lungo immaginare che non stanno dormendo. Fate appena ah soltanto, in quel silenzio, e all'istante stesso per l'occhio di preda l'infimo trasalimento subito represso. Lasciateli là, nel sudore e ghiacciati, c'è di meglio altrove. Ma no, la vita finisce e non finisce, non c'è niente altrove, impensabile ritrovare quel punto bianco perduto dentro il bianco, vedere se sono rimasti fermi nel culmine di questa bufera, o di una peggiore, o al buio completo davvero, o nel grande bianco immutabile, e che cosa fanno se no. 


Samuel Beckett - Immaginazione morta immaginate